Il ristorante Noma di Copenaghen chiuderà i battenti entro il 2024, lo ha annunciato René Redzepi, pluristellato chef e proprietario del locale.
Ma questa è ormai storia antica.
Non ci dilungheremo sulla narrazione di chi sia il tri-stellato Redzepi o del movimento della Nuova Cucina Nordica di cui si è fatto portavoce. Ci soffermeremo invece sullo strano caso che ha condotto il promotore più attivo della sostenibilità a chiudere per insostenibilità.
Ovviamente parliamo di due tipi diversi di sostenibilità. C’è quella dei prodotti locali, naturali e stagionali la cui ricerca non si arresta, sia nella ristorazione che nella cucina domestica, come racconta anche la nostra Sonda Cimabue.
E poi c’è un’altra sostenibilità: quella degli attivi, dei passivi e dei bilanci. La sostenibilità economica dell’impresa che sta facendo penare (e tremare) il mondo della ristorazione tutto.
Il caso Noma ha accesso i riflettori sulle difficoltà dell’alta cucina, svelando un “dietro le quinte” inatteso e critico (scioccando soprattutto i non addetti ai lavori) di quello spettacolo sfavillante che ci raccontano i media. Ma il problema della sostenibilità economica dell’impresa è un’epidemia in atto che non fa sconti né differenze e contagia indiscriminatamente la ristorazione a tutti i livelli.
Ciò con cui combattono ogni giorno i ristoratori, non è la ricerca della combinazione sinergica di gusti e consistenze ma la ricerca di un equilibrio economico dove in gioco entrano numerose variabili: i costi delle materie prime, il personale che va formato adeguatamente e retribuito dignitosamente (tema caldo che abbiamo già affrontato nell’articolo The Dining Drama: alla ricerca della brigata perduta). E poi ci sono i costi di gestione ed energetici, impennati a causa del particolare momento storico… il tutto rincorrendo l’obiettivo della sostenibilità alimentare, meta dalla quale non si può prescindere.
Ciò per cui dovrebbero battersi i ristoratori è invece una rivoluzione dei processi e dei modelli di business su cui si sono basati finora.
Ci vuole un approccio gestionale e manageriale all’impresa che passi attraverso l’identificazione di: standard operativi più semplici; l’introduzione di nuove tecnologie; l’introduzione di nuove figure professionali, con l’obiettivo di efficientare le prestazioni, ridurre parallelamente i costi fissi di gestione e garantire quindi la sostenibilità interna dell’azienda stessa.
Vi diamo più concretezza.
- Cosa vuol dire introdurre standard operativi semplici?
- Creare maggiore rotazione dei menu
- Creare menu più snelli quindi con meno item di scelta
- Avere maggiore consapevolezza dei territori in cui si opera
- Utilizzare più prodotti stagionali e locali
- Creare centri di acquisto territoriali per i prodotti freschi
- Perché aggiungere nuove tecnologie?
Per una migliore gestione dei tempi e della fatica delle preparazioni (quindi delle risorse coinvolte), oltre che per ottenere una maggiore garanzia sui risultati, non tanto in termini di qualità (perché la mano dell’uomo in cucina è ciò che ancora fa la differenza) ma in termini riuscita e riproducibilità delle preparazioni.
- Quali sono le nuove figure professionali della ristorazione?
Sono figure capaci di aggiungere contemporaneità e dinamismo alla vita delle realtà del fuori casa.
Come il Life Style Manager che programma e gestisce la vita commerciale dell’azienda con un forte orientamento verso la qualità, la valorizzazione del gusto e del territorio, la stagionalità e la sostenibilità. Aiuta gli operatori a tradurre le offerte in linee di comunicazione efficaci e controlla che l’offerta proposta sia in linea con la filosofia dell’azienda, sempre guidato dal duplice obiettivo di fare il bene dell’azienda e suscitare l’interesse dei clienti, con i quali crea una continua relazione di scambio.
Del Life Style Manager e di tante altre figure, così come delle nuove necessità del mondo della ristorazione, ne abbiamo parlato approfonditamente nella Sonda Raffaello, che si è occupata proprio del tema della sostenibilità e della creazione di nuovi posti di lavoro.
Dunque quali sono i pilastri su cui deve fondarsi la ristorazione del futuro?
L’innovazione, come abbiamo appena visto. Ma anche la tradizione (che non andrebbe mai abbandonata ma attualizzata perché funzioni nel mondo contemporaneo) e – non ultimo – la sostenibilità (alimentare ed economica!).
Per riassumere: