C’era una volta il mondo della ristorazione e c’erano i colloqui di lavoro, i candidati in attesa e la frase di rito «le faremo sapere» con cui i datori congedavano emozionati giovani aspiranti.
C’era una volta il mondo della ristorazione. E adesso non c’è più. Oggi c’è un mondo capovolto dove a dire «le faremo sapere» sono i giovani non-aspiranti (e men che meno candidati), dove balle di fieno rotolano in cucine disabitate mentre la sala si popola di (pochi) camerieri zombie, che sospesi e sgomenti si aggirano tra i tavoli in interminabile attesa.
E poi scomparse improvvise, rifiuti ingiustificati, cambi repentini e tanti e tantissimi NO GRAZIE!
Quello che sta succedendo lo riassume bene il Rapporto sulla Ristorazione FIPE 2021 (i cui dati fanno riferimento a tutto il 2021 fino al marzo 2022)
- ci sono 65% dei lavoratori in meno rispetto al 2021
- il 34% dei ristoratori sono disperatamente sotto-staffati
- il 40,3% degli assunti ha competenze inadeguate
- il 32,4% dei potenziali candidati preferiscono percepire sostegni al reddito (rdc, naspi etc.)
- il 25,3% dei non-più-aspiranti cuochi e personale di sala ritiene la retribuzione insufficiente
- il 22,8% degli stessi giudica gli orari di lavoro pesanti
- il 21,2% abita troppo distante dal luogo di lavoro (questa sì che è una disdetta!)
- il 15,9% lamenta mancanza di contratti di lavoro stabili o a tempo indeterminato
- il 13,4% addirittura si permette di pensare alle politiche di welfare e benefit per i dipendenti, ovviamente ritenute insufficienti se non inesistenti
I numeri parlano, i ristoratori piangono, i commensali digiunano e la discettazione è dietro l’angolo: «è colpa dei giovani di oggi», figure mitologiche e amebiformi, senza forza, fisica e d’animo, senza passioni, incontentabili; «È colpa del reddito di cittadinanza» che premia ignavi e truffaldini… e ancora delle paghe basse, degli orari massacranti eccetera eccetera eccetera.
È tutto e niente vero. È l’insieme che in questo caso diventa più della somma (deflagrante) delle sue parti: una bomba la cui accensione è stata solo accelerata dalla pandemia (con la riscoperta del tempo, della casa e della concretezza all’imprevisto).
Dunque, che fare? In una parola: EVOLVERSI.
Il momento storico che stiamo vivendo ha portato – o costretto – ad una spinta evolutiva in tutti i settori. E se le aziende, quelle grandi, quelle degli open space, iniziano a pensare a un lavoro che sia da remoto e per obiettivi… alla ristorazione tocca rincorrerle.
Non con chef da remoto, chiaro (per quelli ne riparleremo quando andremo ad abitare tutti nel metaverso), ma imparando da loro cosa vuol dire gestione manageriale dell’impresa e delle risorse.
Vi starete domandando… in concreto, cosa vuol dire?
- cambiare ambienti di lavoro e clima aziendale
- modificare processi obsoleti e costosi che non reggono più alle richieste della clientela
- creare nuove figure aziendali in grado di mettere a terra – attraverso le competenze acquisite in contesti formativi e ambienti di apprendimento – le nuove mode ma anche i nuovi bisogni
- insegnare la cultura aziendale che, come diceva Olivetti, si fonda su di una formula estremamente semplice ma straordinariamente efficace: tenere l’uomo al centro dell’impresa.
- adeguare gli stipendi alle esigenze della vita reale
- garantire percorsi di crescita chiari (da sempre paventati, ma mai realmente applicati!)
Dunque, ci vogliono turni, benefit, contratti validi, percorsi di formazione e crescita organizzati, ben pattuiti e regolamentati, cambiamenti già in atto e già di successo in alcune catene di ristoranti.
Perché se gli chef artisti, quelli delle stelle, delle spume e delle quattro consistenze, esisteranno sempre, continueranno ad esistere anche i cuochi, persone semplici che scelgono un mestiere o i camerieri con l’ambizione di uno stipendio sicuro e una vita tranquilla.
E forse è solo arrivato il momento di rispettare queste risorse umane che da sempre – e per sempre – sono e saranno i pilastri della ristorazione.
Perché la brigata non è perduta, è solo cambiata come è cambiato il mondo. E il mondo della ristorazione non può tornare ad essere com’era.